Nota del dott. Gabriele Serra, Magistrato presso il T.A.R. Calabria, a
Cass., Sez. IV, 28 gennaio 2021 (dep. 1 marzo 2021), n. 8057, Pres. Brichetti, Rel. Aprile, Ric. A.F. Sommario: 1. Premessa. – 2. Il caso. – 3. Discrezionalità amministrativa, discrezionalità tecnica e accertamento tecnico in relazione al “nuovo” art. 323 c.p. – 4. (segue) La natura del potere di determinazione del valore di stima dell’appalto. – 5. La teoria dei c.d. autolimiti e la sua distorsione – 6. Osservazioni conclusive sul restraint interpretativo della nozione di discrezionalità penalmente irrilevante. 1. Premessa. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi del “nuovo” reato di abuso d’ufficio ex art. 323 c.p., per come riscritto dal decreto legge 16 luglio 2020 n. 76, c.d. semplificazioni, conv. in L. 11 settembre 2020, n. 120. Come noto, e come ricorda la stessa decisione in esame, la norma incriminatrice risulta novellata sotto tre distinti profili: il delitto è ora configurabile solamente nei casi in cui la violazione da parte dell’agente pubblico abbia avuto ad oggetto “specifiche regole di condotta” e non anche regole di carattere generale; solo se tali specifiche regole sono dettate “da norme di legge o da atti aventi forza di legge”, dunque non anche quelle fissate da meri regolamenti ovvero da altri atti normativi di fonte subprimaria; e, in ogni caso, a condizione che quelle regole siano formulate in termini da non lasciare alcun margine di discrezionalità all’agente[1]. La Sez. VI, nel confermare gli assunti giurisprudenziali già emersi in merito, conferma, in primo luogo, che la modifica, in quanto idonea a restringere l’ambito oggettivo della rilevanza penale di alcune condotte, opera retroattivamente, potendosi verificare perciò una parziale abolitio criminis[2]. Ciò posto, la decisione si concentra sull’esclusione dai casi di rilevanza penale delle condotte poste in essere nell’esercizio di un potere discrezionale e, nel caso di specie, discrezionale tecnico; su tale aspetto proveranno a concentrarsi brevemente le presenti note, attraverso l’utilizzo di concetti di matrice amministrativistica attraverso i quali si cercherà di mostrare i profili di criticità dell’impostazione che la Suprema Corte, nella sentenza in esame e non solo, sta assumendo rispetto al “nuovo” art. 323 c.p. Condividendosi infatti quanto rilevato da accorta dottrina, «l’esistenza del funzionario è unitaria e disporre di un armamentario concettuale (non unico, ma quantomeno) coerente risponde quindi ad un’esigenza di “sostenibilità” della propria attività»[3].
Segnatamente, la condotta contestata era consistita nell’aver indicato come valore dell’appalto – gestione del servizio di misura elettronica della velocità dei veicoli – la somma di euro 36.300, in quanto si era fatto riferimento solo all’importo fisso annuale di noleggio della apparecchiature, «senza tenere in un alcun conto e neppure menzionare – sia nel contratto che nella successiva determina dirigenziale – gli ulteriori costi che sarebbero gravati sull’ente comunale per la gestione, da parte della società affidataria, del servizio di gestione dei verbali di accertamento, costi pari a 32,50 Euro oltre IVA per ciascuna violazione e verbale generato». Su tali basi, nel verificare se tale fattispecie dovesse considerarsi oggetto della parziale abolitio criminis sopra richiamata per effetto della riforma del delitto di abuso d’ufficio, la Cassazione ne ritiene la perdurante rilevanza penale sulla base di due argomentazioni. Afferma, in primo luogo, che le disposizioni sopra richiamate si ponevano in termini vincolanti per il pubblico funzionario nell’adozione del criterio di scelta per la modalità di affidamento dell’appalto, senza che residuasse in capo allo stesso alcun margine di discrezionalità, neppure tecnica, qualificando le citate norme come «vincolanti prescrizioni di legge, che si sarebbero dovute tradurre in una mera attività di accertamento tecnico cui avrebbe fatto seguito l’esercizio di un potere vincolato». Ma, in ogni caso ed in secondo luogo, sostiene la Cassazione che, quand’anche si volesse ritenere che il potere descritto dalle norme citate fosse ab origine espressione di discrezionalità tecnica, la limitazione operata dalla novella non trovi applicazione in tutti i casi in cui si sia verificata una «preventiva totale rinuncia da parte del pubblico agente dell’esercizio di ogni potere discrezionale; ovvero laddove la violazione della regola di condotta dovesse intervenire in un momento del procedimento nel quale è possibile affermare che ogni determinazione dell’amministrazione è oramai espressione di un potere caratterizzato dall’essere in concreto privo di qualsivoglia margine di discrezionalità». Richiamando in tal senso la sentenza Cons. Stato, n. 4089 del 17 giugno 2019 – che, come si vedrà, non è affatto pertinente – la sentenza in esame ritiene che l’esclusione di rilevanza penale si riferisca «non solamente ai casi in cui la violazione ha ad oggetto una specifica regola di condotta connessa all’esercizio di un potere già in origine previsto da una norma come del tutto vincolato», ma anche «anche ai casi riguardanti l’inosservanza di una regola di condotta collegata allo svolgimento di un potere che, astrattamente previsto dalla legge come discrezionale, sia divenuto in concreto vincolato per le scelte fatte dal pubblico agente prima dell’adozione dell’atto (o del comportamento) in cui si sostanzia l’abuso di ufficio». Nel caso di specie, tali comportamenti che avrebbero comportato un esaurimento della discrezionalità vengono identificati nel fatto che nei due mesi di gestione del servizio, esso aveva generato un numero di verbali particolarmente ingente, i cui costi, come visto, non erano stati contemplati nella determinazione del valore dell’appalto; nel fatto che già tempo prima l’imputato aveva conosciuto i risultati di uno «studio sperimentale» da cui emergeva che il numero di verbali sarebbe stato elevatissimo; nonché nella circostanza che altre amministrazioni della zona avevano affidato il medesimo servizio mediante pubblicazione di un bando di gara ad evidenza pubblica. Così ricostruite le rationes decidendi della decisione, si ritiene che entrambe non siano condivisibili, in ragione, in primo luogo, della erronea qualificazione del potere di determinazione del valore dell’appalto come potere vincolato e non come potere discrezionale tecnico; in secondo luogo, della impropria ricostruzione dei presupposti per poter affermare che un potere astrattamente discrezionale (o discrezionale tecnico) divenga vincolato in forza della teoria – di cui la Cassazione dimostra di voler fare applicazione, seppur completamente distorta – dei c.d. autolimiti.
Utilizzando la logica bifasica proposta dal medesimo Maestro, può dirsi quindi che l’amministrazione deve dapprima assumere e valutare i fatti e gli interessi coinvolti nella fattispecie (fase del giudizio) e poi condurre quell’attività di bilanciamento e ponderazione degli interessi acquisiti, che si conclude nella scelta discrezionale idonea a realizzare l’interesse pubblico (fase della scelta), che rappresenta il proprium della discrezionalità amministrativa[5]. In relazione ad essa, il sindacato giurisdizionale, pur reso più penetrante a seguito dell’adozione del codice del processo amministrativo, non può mai spingersi fino all’invasione della sfera di attribuzione riservata alla p.a., cui spetta in via esclusiva l’esercizio dell’attività comparativa tra interessi pubblici e privati e che il giudice amministrativo può sindacare solo se deborda nell’eccesso di potere[6]. È altresì noto che dal concetto di discrezionalità amministrativa si distingua quello di discrezionalità tecnica, che, seguendo l’impostazione bifasica citata, si colloca nel primo dei due momenti dell’attività amministrativa, e si caratterizza per l’applicazione da parte dell’amministrazione di regole tecniche e specialistiche necessarie a valutare i fatti rilevanti per l’esercizio del potere[7]. Non vi è perciò una reale scelta dell’amministrazione, nel senso di una ponderazione, di una valutazione di opportunità, bensì solo l’individuazione della regola tecnica da applicare al caso di specie per la valutazione del fatto, la quale può condurre a risultati connotati da un certo margine di opinabilità (opinabilità che connota, in primo luogo, la disciplina specialistica di riferimento)[8]. Per tale motivo, la giurisprudenza, anche della Corte di Cassazione, si è ormai attestata nel senso di ammettere un sindacato esteso alla diretta verifica dei fatti posti a fondamento del provvedimento, anche in relazione ai loro profili tecnici, ma che tuttavia, quando in siffatti profili tecnici sono coinvolte valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità, detto sindacato si arresta alla verifica che tali margini di opinabilità non siano stati superati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello della p.a. che sia rimasta entro i suddetti confini[9]. Per usare le parole della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, «posto che il ricorso a criteri di valutazione tecnica, in qualsiasi campo, non offre sempre risposte univoche, ma costituisce un apprezzamento non privo di un certo grado di opinabilità, il sindacato del giudice amministrativo, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, arbitrarietà ovvero se fondato su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti»[10]. Tale ultimo profilo distingue infine, nella terminologia accolta dalla dottrina tradizionale amministrativistica – utilizzata dalla sentenza in commento – la discrezionalità tecnica dall’accertamento tecnico, il quale non presenta quei margini di opinabilità propri della discrezionalità tecnica. Invero, l’accertamento tecnico si riscontra a fronte di una fattispecie normativa nella quale la P.A. sia tenuta ad acclarare la sussistenza di uno o più presupposti tecnico-scientifici, posti dalla legge a fondamento necessario della sua azione, e l’esito della operazione da compiere sia certo e privo di margini di opinabilità (la gradazione alcolica di una bevanda o la quantità di stupefacente presente in una sostanza). Peraltro, l’assenza di margine di valutazione, sia pure sotto il profilo della scelta tecnica opinabile da compiersi, che si riscontra nelle ipotesi di accertamento tecnico, come evidenziato in dottrina, non è derivante dalla struttura della norma che regola il potere, bensì dal criterio tecnico-scientifico espressamente richiamato da questa, criterio la cui applicazione offre risposte non discutibili; ne consegue che dunque l’attività amministrativa è di carattere vincolato e il sindacato del giudice amministrativo pieno.[11] Tali nozioni assumono rilievo centrale nella nostra analisi, in quanto mostrano chiaramente come discrezionalità amministrativa e tecnica condividano, a differenza dell’accertamento tecnico, un margine di “valutazione” rimesso all’amministrazione: nella discrezionalità amministrativa, esso involge nel rispetto delle regole di legittimità, l’opportunità della scelta su an, quid, quando o quomodo dell’esercizio del potere; nella discrezionalità tecnica, la scelta ricade sulla risposta, non univoca e opinabile, restituita dall’applicazione delle regole tecniche. Come visto invero, persino il sindacato del giudice amministrativo, che è un sindacato tendenzialmente pieno, che trova il suo fondamento nell’art. 113 Cost. volto a garantire pienamente le situazioni soggettive dei privati a fronte del potere pubblico, soprattutto quello discrezionale, incontra il limite della sfera di riserva della scelta di merito dell’amministrazione, che residua quale valutazione di opportunità all’esito del giudizio di bilanciamento operato dall’ente pubblico nel rispetto delle regole di legittimità, essendo ciò imposto, in ultima analisi, dalla necessaria separazione tra i poteri dello Stato[12]. Ed è dunque del tutto fisiologico, come rilevato in dottrina, che il sindacato del giudice penale si arresti ancor prima, dovendosi escludere, dall’ambito della cognizione del giudizio di responsabilità penale «proprio quella “zona grigia” del giudizio di legittimità che, investendo le valutazioni discrezionali della p.a., si pone ai confini del merito amministrativo»[13]. In merito, la dottrina ha poi condivisibilmente evidenziato come, dall’angolo visuale proprio del penalista, la particolare natura del vizio di eccesso di potere risulti morfologicamente inidonea a fondare una responsabilità penale, in quanto difficilmente accertabile ex ante, con evidente pregiudizio ai principi di determinatezza e prevedibilità dell’illecito penale[14]. Se così è allora, deve ritenersi che laddove il riscritto art. 323 c.p. fa riferimento alla rilevanza penale delle condotte poste in essere in violazione delle sole norme «dalle quali non residuino margini di discrezionalità», tale elemento normativo ricomprenda anche la nozione di discrezionalità tecnica, proprio perché postula comunque una qualche attività valutativa, opinabile appunto, che il legislatore della novella ha voluto escludere dall’area del penalmente rilevante, dovendosi porre a confronto dunque il binomio attività discrezionale (anche tecnica) – attività vincolata[15]. |
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