Cass., Sez. V, 6 ottobre 2020, n. 1943
Contributo di M.T. Filindeu, in www.sistemapenale.it 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di cassazione si pronuncia in ordine alla configurabilità del tentativo nel delitto di atti persecutori, offrendo all’interprete un’importante occasione per riflettere su uno degli aspetti meno esplorati in materia di stalking. La Quinta Sezione della Corte, investita del ricorso, è chiamata per la prima volta a esprimersi sulla ritenuta incompatibilità del tentativo con la struttura del delitto di stalking[1]. Nel ricostruire i tratti essenziali della fattispecie criminosa di cui all’art. 612-bis c.p., la Cassazione ne sottolinea la natura di reato abituale di danno e, tracciate le premesse teoriche sulla compatibilità dell’illecito con la forma tentata, conferma la configurabilità del tentativo di atti persecutori. 2. La vicenda giudiziaria giunta all’attenzione della Corte riguarda la condanna in primo grado del soggetto ricorrente per il delitto tentato di atti persecutori in ragione della mancata verificazione di uno degli eventi tipici previsti dall’art. 612-bis c.p. Stando alla ricostruzione dei fatti succintamente riportata in sentenza, la vittima del reato di stalking non avrebbe percepito, in ragione del suo carattere particolarmente forte, la lesività delle condotte poste in essere in pubblico dall’imputato, né avrebbe avuto contezza di alcune telefonate notturne fatte dallo stesso. Pertanto, la circostanza che la persona offesa dal reato, per «un mero accidente o per il carattere evidentemente forte», non avrebbe patito quel perdurante stato di ansia e paura che integra notoriamente uno degli eventi tipici previsti dalla norma incriminatrice, ha indotto il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto a riqualificare l’originaria imputazione elevata per l’ipotesi consumata e a ravvisare una responsabilità penale, ai sensi degli artt. 56 c.p. e 612-bis c.p., per tentato stalking. L’imputato, con un ricorso per saltum, lamenta in Cassazione l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 612-bis c.p. Con il primo motivo di ricorso, la difesa nega la sussistenza dell’illecito contestato, facendo leva sulla circostanza anzidetta, accertata dal giudice di prime cure, relativa all’assenza in capo alla vittima di qualsiasi sentimento di ansia, turbamento o paura in conseguenza delle condotte dell’agente. Secondo la difesa, tale premessa di fatto sarebbe, da sola, idonea a scardinare l’impianto accusatorio poiché lo stalking, in quanto reato abituale, esigerebbe «per la sua giuridica esistenza» il verificarsi di almeno uno degli eventi tipici previsti dal dettato normativo. La mancata verificazione dell’evento comporterebbe, nel caso concreto, un mutamento del titolo di reato: sempre in base alle argomentazioni difensive, le circostanze concrete non consentirebbero la configurabilità del delitto di atti persecutori e, conseguentemente, verrebbe meno qualsivoglia tentativo di stalking. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in subordine, l’assenza degli stessi requisiti minimi, necessari a fondare un’ipotesi di tentativo, ravvisandosi, nel caso di specie, gli estremi del reato impossibile. La mancata percezione da parte della persona offesa delle condotte poste in essere dall’imputato o, perlomeno, della lesività delle stesse dimostrerebbe l’inidoneità del soggetto passivo rispetto al reato e integrerebbe, appunto, un’ipotesi di reato impossibile[2]. 3. Ritenuti infondati i predetti motivi, i giudici di legittimità rigettano il ricorso. Con riferimento alla prima doglianza, la Corte richiama il proprio consolidato orientamento, secondo il quale il delitto di atti persecutori, in quanto reato abituale di danno, è integrato dalla necessaria reiterazione delle condotte tipiche descritte nella norma incriminatrice[3]. L’essenza della fattispecie criminosa è da cogliersi, pertanto, non già nelle specifiche molestie e minacce poste in essere dall’agente, quanto nella condotta persecutoria unitariamente intesa. La reiterazione cementa – per usare un’espressione della Corte – i singoli atti tipici, rendendoli segmenti di un unico differente comportamento criminale (lo stalking, appunto) causalmente orientato alla realizzazione di uno degli eventi di danno o di pericolo tipicamente previsti dal dettato normativo[4]. L’unificazione di tali atti sub specie iuris avviene sia sul piano oggettivo della condotta sia su quello soggettivo in ragione della «consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualità»[5]. Precipitato logico (prima che giuridico) di tale ricostruzione è che, qualora a tali atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o un fondato timore per l’incolumità, non faccia seguito l’effettiva causazione di uno di questi eventi tipici, il fatto sarà punibile a titolo di tentativo. Con un iter motivazione conciso e puntuale, la Quinta Sezione conforta così la correttezza del ragionamento del giudice di prime cure. 4. La manifesta infondatezza del secondo motivo del ricorso si deve invece a un’errata interpretazione della disciplina richiamata. Come la stessa Corte si premura di rammentare, affinché un reato possa considerarsi impossibile, ai sensi del secondo comma dell’art. 49 c.p., e possa dunque escludersi la punibilità dello stesso, l’impossibilità che si verifichi l’evento dannoso o pericoloso deve essere conseguenza dell’inidoneità dell’azione o dell’inesistenza dell’oggetto della stessa. La giurisprudenza interpreta in senso stringente il dato normativo, ravvisandovi un’impossibilità di tipo tecnico determinata o da un’inidoneità assoluta della condotta attiva per «inefficienza strutturale o strumentale del mezzo usato»[6] o per l’inesistenza originaria e assoluta dell’oggetto del reato[7]. Solo a queste condizioni, potrà invocarsi l’impunità del soggetto. Nel caso di specie, l’«inidoneità del soggetto passivo rispetto al reato» non vale certo a integrare un’ipotesi di inidoneità assoluta, ma potrebbe tutt’al più qualificarsi come un ostacolo di tipo materiale (irrilevante ex art. 49 c.p.), che, di fatto, ha impedito il verificarsi dell’evento. 5. Ripercorrere brevemente i punti fermi della giurisprudenza di legittimità sulla fattispecie di cui all’art. 612-bis richiamati e sviluppati in sentenza dalla Corte può risultare utile al fine di ricostruire l’iter argomentativo della decisione[8]. Il delitto di atti persecutori, introdotto in tempi relativamente recenti nel nostro ordinamento[9] al fine di punire quei comportamenti seriali, intrusivi e assillanti, tali da suscitare nella vittima un senso di disagio, angoscia, paura, fino a tradursi in un autentico tormento, può essere inquadrato giuridicamente come un reato abituale d’evento e di danno[10]. Il carattere abituale della fattispecie si deve alla necessaria reiterazione della condotta, la quale, per espressa previsione normativa, costituisce il requisito essenziale della stessa ed è indice di un disvalore aggravato rispetto a quello riconducibile alle singole minacce o molestie[11]. Nel delitto di atti persecutori, il nucleo centrale dell’incriminazione si coglie nella reiterazione dei singoli atti considerati tipici, per mezzo della quale questi ultimi, da soli non idonei a integrare il reato in questione, assumono una diversa configurazione giuridica e una specifica e unitaria offensività[12]. Tuttavia, poiché le singole condotte che compongono la fattispecie sarebbero di per sé stesse idonee a integrare reati perseguibili in via autonoma (ex artt. 612 c.p. e 660 c.p.) lo stalking è ricondotto nell’alveo dei reati abituali cd. impropri[13]. Sempre sul piano oggettivo, la condotta persecutoria, unitariamente intesa, è causalmente volta alla determinazione di uno degli eventi, di danno e/o di pericolo, tipizzati nella fattispecie incriminatrice[14]. Il requisito fondante della reiterazione di minacce o molestie nei confronti della vittima, necessario affinché il reato si consideri perfetto, potrà dirsi raggiunto, come suggerisce un condivisibile orientamento dottrinale[15], quando le condotte considerate avranno dato causa anche solo a uno degli eventi descritti dal dettato normativo. Gli eventi, alternativi o cumulativi, la cui verificazione segna invece il momento consumativo del reato e ne determina la punibilità, consistono nelle ipotesi, di carattere psicologico, del grave e perdurante stato di ansia e di paura nonché del fondato timore per l’incolumità propria, di un prossimo congiunto o di una persona al medesimo legata da una relazione affettiva e altresì nell’evento materiale concernente l’alterazione delle proprie abitudini di vita[16]. Sul piano soggettivo, l’elemento psicologico è configurato in forma di dolo generico, pertanto la coscienza e volontà dell’agente deve avere ad oggetto le reiterate minacce o molestie e deve includere altresì la consapevolezza di aver dato vita a una serie di atti vessatori e assillanti idonei a produrre uno degli eventi tipici[17]. Si richiede un dolo unitario che può realizzarsi in modo graduale ma che deve al contempo esprimere un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti della condotta tipica. Così ricostruita la fattispecie legale e richiamata la «regola generale propria dei reati di evento», la Corte opera infine una deduzione – da essa stessa definita – logica, prima che giuridica, in materia di tentativo. È difatti possibile – si legge in sentenza – che alla condotta persecutoria, idonea e diretta in modo non equivoco a cagionare uno degli eventi suddetti, non segua l’effettiva causazione di alcuno di essi. Né, tale possibilità collide con la natura di reato abituale improprio riconosciuta alla fattispecie in questione. La Corte ribadisce, sul punto, la centralità e la rilevanza dell’unificazione dei singoli atti: una volta individuata la condotta persecutoria, prodotto della reiterazione delle azioni che ex se integrerebbero distinte ipotesi di reato, questa non può più essere scomposta nei suoi fattori primi, ma conserva la sua unitarietà e la sua autonomia anche a seguito della mancata verificazione dell’evento. In altre parole, le singole azioni, unificate dalla reiterazione, non possono essere più considerate isolatamente. 6. L’ impressione, con riferimento a quest’ultima precisazione, è che i giudici di legittimità vogliano sgombrare il campo dalle possibili obiezioni di chi, in passato, ha già avuto modo di esprimere il proprio scetticismo sull’inquadramento della fattispecie come reato d’evento e non mancherebbe, in questo caso, di manifestare ulteriori dubbi e perplessità. Prima, fra tutti, la preoccupazione di un’eventuale (eccessiva) discrezionalità attribuita al giudice chiamato di volta in volta a distinguere tra tentato stalking e concorso materiale in molestia o minaccia[18]. L’incedere argomentativo della decisione rivela peraltro l’adesione della Corte alla tesi dottrinale che inquadra l’evento tipico come elemento costitutivo del reato di stalking e non come condizione obiettiva di punibilità. Solo così, la mancata verificazione dell’evento dannoso, in presenza dei requisiti di cui all’art. 56 c.p., farebbe salva la punibilità del reato nella sua forma tentata, preservando i margini di tutela offerti da quest’ultima[19]. 7. Per quanto si consideri la configurabilità del tentativo nel delitto di atti persecutori di per sé condivisibile, non si può sottacere più di qualche perplessità in ordine ai futuri profili applicativi. Il timore principale è che la fattispecie tentata di stalking faccia non poca fatica a imporsi nelle aule di giustizia a causa di una frizione tra quanto “astrattamente configurabile” e ciò che è “concretamente accertabile”. In sede processuale, la valutazione della soglia dei comportamenti punibili ai fini della ricostruzione della fattispecie nella sua forma tentata potrebbe risultare particolarmente problematica[20]. Nel caso di specie, il giudizio di disvalore della condotta persecutoria sembrerebbe incentrarsi sull’idoneità oggettiva della stessa, stante la difficoltà di valutare i suoi effetti sulla sfera psicologica della vittima. Ritornando per un attimo al giudizio di idoneità nel delitto tentato, si rammenta come l’idoneità degli atti persecutori, in quanto giudizio sulla probabilità che il delitto si consumi, ha quale necessario termine di relazione la verificazione dell’evento dannoso tipico. Considerato il carattere peculiare dell’evento psichico in questione, di natura prettamente soggettiva (consideriamo evidentemente l’evento dannoso descritto dalla norma, integrato dal grave stato di ansia e di paura che non sfocia, però, in un’alterazione – tangibile – delle proprie abitudini di vita) ci si chiede se il giudizio sull’idoneità degli atti, e quindi sulla probabilità che si verifichi tale turbamento psicologico, possa essere sorretto dai soli dati oggettivi forniti dalle massime di esperienza e non anche da valutazioni sulla personalità della vittima. Il ricorso alla generalizzazione del senso comune, unitamente ai riscontri indiziari del caso concreto, consentirebbe di accertare, con un sufficiente grado di razionalità, il nesso eziologico sussistente tra la condotta A e l’evento B (di natura materiale) quando tra i due si frapponga un evento intermedio X, di natura psicologica. Più arduo (e con arduo non si vuole intendere impossibile!) sembrerebbe invece l’accertamento del nesso causale tra la condotta materiale A e l’evento psichico B, sulla base delle stesse massime di esperienza. Un conto, insomma, è fare un pronostico – in base a ciò che comunemente accade – sulla condotta materiale di un soggetto in conseguenza di un dato stimolo. Altra questione è ipotizzare, facendo leva sulle sole massime di esperienza, la probabilità che il soggetto sviluppi un preciso stato d’animo a seguito dello stesso stimolo. Si teme, in altre parole, che il confine individuato idealmente tra la consumazione del reato di stalking (verificazione dell’evento psichico) e la probabilità che il reato si consumi in ragione dell’idoneità degli atti (mancata verificazione dell’evento) sia nella realtà talmente labile da risultare quasi evanescente. 8. La configurabilità del delitto di stalking nella forma tentata sollecita, a nostro parere, un’ulteriore riflessione in relazione alla componente soggettiva della fattispecie criminosa. Come si è già avuto modo di precisare, affinché sia integrato il delitto di atti persecutori è necessario e sufficiente il coefficiente psicologico del dolo generico, che può a sua volta evidentemente atteggiarsi anche nelle forme del dolo eventuale[21]. Nella prassi, peraltro, non sono poi così rari i casi in cui l’autore del reato di staking pur non perseguendo la realizzazione del fatto tipico, si rappresenti e voglia le condotte moleste o minacciose, al fine di ricercare un contatto con la vittima o di recuperare una relazione affettiva precedentemente interrotta. Ebbene, ci si domanda se in ipotetici simili casi caratterizzati dalla sussistenza del dolo eventuale in capo al soggetto agente sia ragionevole escludere a priori la configurabilità del tentativo in ragione dell’asserita incompatibilità della struttura di quest’ultimo con tale coefficiente psicologico o se, per contro, la peculiarità della fattispecie esaminata non possa indurre la giurisprudenza di legittimità a rivalutare la propria posizione in merito[22]. Si consideri infatti come, con specifico riferimento alla fattispecie tentata di atti persecutori, negare la compatibilità del requisito (oggettivo) dell’univocità degli atti con lo stato di dubbio che caratterizza il dolo eventuale significherebbe escludere dalla sfera della punibilità quelle ipotesi di tentato stalking in cui nell’agente difetti la precisa volontà di determinare gli eventi psichici descritti nella norma, provocando un importante vuoto di tutela per le persone offese dal reato. 9. In conclusione, per un verso, non possiamo che ribadire l’apprezzamento verso il percorso logico-argomentativo compiuto dalla Corte e verso la soluzione cui è pervenuta nella sentenza in esame, che riteniamo sia da accogliere con favore. D’altra parte le perplessità sono da ricondurre al rischio, evidentemente dietro l’angolo, che l’allargamento delle maglie del rimprovero finisca per produrre l’incriminazione di condotte il cui disvalore non merita l’intervento penale o, viceversa, che un eccessivo rigore interpretativo comprometta la tutela proprio di quei soggetti fragili per i quali è stata pensata e introdotta nell’ordinamento la fattispecie dello stalking. [1] Sulla compatibilità della struttura del reato abituale con la configurazione del tentativo, F. Coppi, voce Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in Enc. dir., 1975, XXV, p. 257. Con specifico riferimento alla fattispecie di cui all’art. 612-bis, la tesi dell’ammissibilità del tentativo è condivisa da: F. Viganò, Il delitto di atti persecutori, in G. Marinucci, E. Dolcini, Trattato di diritto penale, pt. spec., Padova, 2015, pp. 678-9.; G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale, pt. spec., vol. II, t. I, I delitti contro la persona, Bologna, 2020, p. 297; G. Mazzi, sub art. 612-bis, in G. Lattanzi, E. Lupo, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, I delitti contro la persona, Milano, 2015, p. 941.; P. Scafi, Interventi legislativi recenti ed in corso in materia di delitti contro la personalità individuale, in F. Ramacci, G. Spangher, Il sistema della sicurezza pubblica, 2010, p. 647. Una distinzione in relazione alla natura dell’evento, cruciale per determinare la configurabilità del tentativo, è offerta da G. Montanara, voce Atti persecutori, in Enc. dir. (web), 2013, VI, p. 71. [2] Per completezza si segnala anche un terzo motivo (dichiarato inammissibile) di ricorso con il quale la difesa denunciava altresì l’erronea applicazione dell’art. 2059 c.c., in quanto si prevedeva il risarcimento del danno non patrimoniale non per l’effettivo pregiudizio arrecato dalle condotte persecutorie, ma in ragione del contesto in cui le stesse erano state poste in essere. [3] Cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. V, 8 giugno 2016, n. 54920, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 27 maggio 2016, n. 48268, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 6 ottobre 2015, n. 47195, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 3 luglio 2015, n. 45453, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 16 giugno 2015, n. 33563, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 5 novembre 2014, n. 51718, in Dejure; Cass. pen., Sez. V, 5 giugno 2013, n. 46331, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 27 novembre 2012, n. 20993, in DeJure. [4] L’art. 612-bis, al primo comma, individua nel «perdurante e grave stato di ansia o di pericolo» e nell’alterazione delle proprie abitudini di vita due tipi di evento dannoso e nel «fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva» un’ulteriore ipotesi di evento di pericolo. [5] In tal senso, Cass. pen., Sez. V, 24 settembre 2015, n. 43085, in DeJure, la quale ribadisce i contenuti dell’elemento soggettivo che abbraccia la condotta criminale. Pare utile rammentare come il dolo generico, previsto per gli atti persecutori, sia espressione di un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica e si sostanzia nella volontà di porre in essere le minacce e le molestie tipicamente previste dalla fattispecie normativa nella costante consapevolezza delle condotte e degli effetti (cioè degli eventi alternativamente contemplati dalla norma di parte speciale) che queste possono produrre. Si esprimono analogamente, Cass. pen., Sez. V, 27 novembre 2012, n. 20993, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 19 febbraio 2014, n. 18999, in DeJure. [6] Cfr. p. 5 della sentenza in commento, ove è chiarito che l’inidoneità dell’azione è ravvisabile qualora la condotta attiva sia «priva di astratta determinabilità causale nella produzione dell’evento». [7] In senso conforme, si vedano, con riferimento al primo requisito di cui all’art. 49 c.p.: Cass. Pen., Sez. V, 15 settembre 2020, n. 31581, in DeJure; Cass. pen., Sez. I, 17 ottobre 2019, n. 870, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 15 ottobre 2014, n. 9254, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 28 aprile 2004, n. 26876, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 22 ottobre 1997, n. 11890, in DeJure. La giurisprudenza di legittimità è infine granitica nell’affermare che l’inesistenza dell’oggetto del reato debba essere assoluta e originaria, non, dunque, temporanea o dovuta a cause accidentali. Si deve escludere, in altre parole, qualsiasi possibilità di offesa al bene giuridico tutelato. Cass. pen., Sez. I, 30 settembre 2019, n. 12407 in DeJure; Cass. pen., Sez. III, 20 maggio 2015, n. 26505, in DeJure; Cass. pen., Sez. II, 13 novembre 2013, n. 8026, in DeJure; Cass. pen., Sez. II, 8 gennaio 2009, n. 3189, in DeJure; Cass. pen., Sez. I, 6 marzo 2007, n. 22722, in DeJure; Cass. pen., Sez. II, 14 gennaio 2004, n. 7630, in DeJure; [8] Il tema meriterebbe certo ben altro spazio e approfondimento, che, per evidenti ragioni di sintesi, non saranno possibili in questa sede. Per un inquadramento della fattispecie criminosa, senza pretese di completezza, si vedano A. Cadoppi, Atti persecutori: una normativa necessaria, in Guida dir., 2009, n. 19, pp. 50 ss.; V. Maffeo, Il nuovo delitto di atti persecutori (stalking): un primo commento al d.l. n. 11/2009 (conv. con modif. dalla l. n. 38/2009), in Cass. pen., 2009, pp. 2723 ss.; C. Parodi, Stalking e tutela penale. Le novità introdotte nel sistema giuridico dalla L.38/2009, Milano, 2009, pp. 7 ss.; A. Valsecchi, Il delitto di atti persecutori (il cd. ‘Stalking’), in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, n. 3, pp. 1377 ss.; A.M. Maugeri, Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, Torino, 2010, pp. 12 ss.; F. Viganò, Il delitto di atti persecutori, cit., pp. 653 ss.; G. De Simone, Il delitto di atti persecutori (la struttura oggettiva della fattispecie), in Arch. pen. (web), 2013, n. 3.; L. Pistorelli, Nuovo delitto di atti persecutori (cd. stalking), in S. Corbetta, A. Della Bella, G.L. Gatta (a cura di) Sistema penale e sicurezza pubblica: le riforme del 2009, Milano, 2009, pp. 153 ss. Per un rapido inquadramento del delitto da un punto di vista criminologico, si veda L. Goisis, La violenza sessuale: profili storici e criminologici. Una storia di “genere”, in www.penalecontemporaneo.it, 31 ottobre 2012, pp. 21-22. [9] La fattispecie criminosa ha fatto ingresso nell’ordinamento italiano con il D.L. n. 11/2009 (convertito in L. n. 38/2009) allo scopo di punire chi «con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita». [10] È questa l’opinione accolta dalla giurisprudenza e maggiormente diffusa in dottrina, dalla quale lo stalking è stato definito un reato abituale sui generis poiché è al contempo un reato d’evento. V. R. Bricchetti, L. Pistorelli, Entra nel codice la molestia reiterata, in Guida dir., 2009, n. 10, p. 58. Per contro, si esprimono sulla sua natura di reato di pericolo concreto: V. Maffeo, Il nuovo delitto di atti persecutori (stalking): un primo commento al d.l. n. 11 del 2009 (conv. con modif. dalla l. n. 38 del 2009), cit., pp. 2725 ss.; A.M. Maugeri, Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, cit., passim. In giurisprudenza, Cass. pen., Sez. V, 17 novembre 2020, n. 1541, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 11 dicembre 2019, n. 17000, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 15 gennaio 2019, n. 7899, in DeJure; Cass. pen., Sez. III, 7 marzo 2014 n. 23485, in DeJure. [11] Da qui il trattamento sanzionatorio più severo, ulteriormente inasprito a seguito dell’intervento legislativo in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. Cfr. L. 19 luglio 2019, n. 69 (nota come Codice Rosso). [12] Il concetto di “reiterazione” ha rappresentato uno dei primi nodi esegetici che dottrina e giurisprudenza furono chiamate a sciogliere già all’indomani dell’introduzione del delitto nel sistema penale. I dubbi attenevano al minimum di condotte necessario e al lasso di tempo che doveva intercorrere tra le varie condotte. La Corte Costituzionale, intervenuta nel 2014, rileva in proposito come siano necessari e sufficienti due condotte, unite da un nesso, una sorta di disegno criminoso “coperto” dal dolo del soggetto attivo. [13] In questo senso, Cass. pen., Sez. V, 10 febbraio 2020, n. 15651, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 8 giugno 2016, n. 54920, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 5 novembre 2014, n. 51718, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 5 giugno 2013, n. 46331, in DeJure; Cass. pen., Sez. V, 5 febbraio 2010, n. 17698, in DeJure. Di diverso avviso, in dottrina, è chi ritiene che i singoli segmenti della condotta persecutoria potrebbero consistere in condotte perfettamente lecite (si pensi a una sola telefonata, all’invio di un dono o di un mazzo di fiori). L’attitudine offensiva di questi atti si sviluppa come conseguenza della loro serialità. Così, G. De Simone, Il delitto di atti persecutori (la struttura oggettiva della fattispecie), cit., pp. 23-4. [14] Si sottolinea, in dottrina, la specifica scelta linguistica del legislatore che suggerirebbe, stante l’uso di verbi tipici della causalità, «la necessità di un vincolo condizionalistico tra la condotta e un risultato conseguentemente eletto ad evento naturalistico del reato». Così, L. Pistorelli, Nuovo delitto di atti persecutori (c.d. stalking), cit., p. 164. [15] L. Pistorelli, Nuovo delitto di atti persecutori (c.d. stalking), cit., p. 171. [16] Pare opportuno segnalare la sentenza n. 172/2014 con la quale la Corte Costituzionale si è pronunciata, dichiarandola infondata, sulla questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 612-bis c.p. per violazione del principio di determinatezza. Il giudice rimettente, dando voce alle perplessità emerse in seno alla dottrina, denunciava la vaghezza nella descrizione, ad opera del legislatore, dei requisiti posti alla base della fattispecie penale. Tra questi, l’elemento oggettivo della condotta (poiché non era stato determinato il minimum necessario al fine della configurazione del reato) e gli eventi tipici previsti dalla norma. Tra i primi commenti, A. Valsecchi, La Corte Costituzionale fornisce alcune importanti coordinate per un’interpretazione costituzionalmente conforme del delitto di stalking, in www.penalecontemporaneo.it, 23 giugno 2014. [17] Il dolo generico, precisa la Cassazione, «non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione». V. Cass. pen., Sez. I, 25 settembre 2020, n. 28682, in DeJure. [18] A. Lollo, Problemi di costituzionalità nell’applicazione della normativa sullo stalking? Nota a Cass. pen. Sez. V, n. 6417/2010, in Rivista AIC (web), 2010, n. 4.; analogamente, A.M. Maugeri, La difficoltà di tipizzazione dello stalking nel diritto italiano e comparato, in Rass. it. criminol. (web), 2012, n. 3, p. 217. [19] In senso opposto, autorevole dottrina, al fine di confutare l’inquadramento dell’evento psichico come elemento costitutivo del reato, fa leva sulle difficoltà di accertamento del dolo che, essendo in questo caso chiamato ad abbracciare tutti gli elementi costitutivi del fatto, dovrebbe involgere anche l’evento. Sulla natura dell’evento come condizione obiettiva di punibilità, F. Mantovani, Diritto penale, pt. spec., I delitti contro la persona, 2019, Milano, 2019, p. 391. [20] A questo proposito, merita di essere ricordato che le stesse coordinate fornite dalla Corte Costituzionale al fine di accertare la verificazione dell’evento psichico tipico (e non ad accertare la – più difficile – probabilità che si verifichi!) non sono valse finora a scongiurare ricostruzioni giudiziali late e approssimative. Quanto all’accertamento dell’evento la Corte Costituzionale suggeriva «un’accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell’agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima». V. Corte Cost., 11 giugno 2014, n. 172, in DeJure. [21] Sul punto cfr. Cass. pen., Sez. V, 20 marzo 2014, n. 29205, in DeJure. [22] La tesi dell’incompatibilità del tentativo con il dolo eventuale è oggi accolta dalla prevalente giurisprudenza. Cfr., tra le ultime pronunce, Cass. pen., Sez. I,14 novembre 2019, n. 1767, in DeJure; Cass. pen., Sez I, 10 ottobre 2019, n. 51870, in DeJure; Cass. pen., Sez. I, 10 luglio 2019, n. 51076, in DeJure. Tuttavia, come condivisibilmente evidenziato da autorevole dottrina, il richiamato orientamento della Cassazione sovrappone, con riferimento al tentativo, il piano oggettivo con quello soggettivo. Poiché l’univocità degli atti rappresenta un requisito oggettivo del tentativo e non riguarda la sfera del dolo, l’incompatibilità del dolo eventuale con la forma tentata non può essere desunta dal solo requisito oggettivo predetto. Così, G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2020, p. 532. |
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Giugno 2024
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