Cass. civ., Sez. un., sent. 7 luglio 2020 (dep. 28 settembre 2020), n. 20442, Pres. Travaglino, Est. Scrima
Contributo di Giorgia Berrino in www.sistemapenale.it 1. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20442 depositata il 28 settembre 2020 ha ribadito un orientamento che sembra ormai potersi definire consolidato nella nostra giurisprudenza, consistente nella mancata concessione dell’immunità dalla giurisdizione di cognizione ad uno Stato estero nei procedimenti promossi avverso quest’ultimo al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti dai c.d. delicta imperii[1]. Come noto, l’indirizzo giurisprudenziale è stato elaborato a seguito delle cause intentate nei confronti della Repubblica federale tedesca da parte di cittadini italiani – o loro eredi – che durante il secondo conflitto mondiale erano stati deportati dalle forze armate del Reich in Germania e ivi sottoposti a lavoro forzato. Se inizialmente le domande risarcitorie venivano dichiarate inammissibili in virtù dell’applicazione della norma di diritto internazionale consuetudinario che sancisce l’immunità di uno Stato dalla giurisdizione civile straniera in caso di acta iure imperii, ovvero di atti rappresentativi della potestà di imperio dell’ente straniero, tra cui certamente si annoverano anche le operazioni militari all’interno di un conflitto bellico, a partire dal 2004 si è assistito ad un cambio di rotta dei giudici italiani, i quali hanno cominciato ad affermare pressoché costantemente – fatto salvo per un breve periodo in cui pareva essere tornato in auge l’orientamento precedente – la sussistenza della giurisdizione ogni qual volta gli acta iure imperii si fossero concretati in violazioni dei diritti umani fondamentali di gravità tale da costituire crimini internazionali. 2. Anche la vicenda da cui ha tratto origine la pronuncia in commento è una delle tante storie di crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati da parte delle truppe di occupazione nazista ai danni di cittadini italiani. Nel 1944, il generale Michele Toldo veniva prima imprigionato dalle forze del Reich in quanto sospettato di collaborare con la resistenza, per poi essere deportato e sottoposto a lavoro forzato in diversi capi di concentramento – Natzweiler, Dachau, nonché da ultimo, Gröditz, un sub-campo di Flossenburg, integrato nella Mitteldeutsche Stahlwerke GmbH della famiglia Flick, nota fabbrica di produzione di materiale bellico per la marina militare tedesca – ed infine essere ucciso dalle SS, con l’avvicinamento delle truppe sovietiche, in una cava in località Koselitz insieme ad altri prigionieri, non potendo essere utilizzato nelle c.d. marce della morte perché malato. Paolo Toldo, figlio del generale, conveniva in giudizio, con atto di citazione notificato il 18 ottobre 2004, la Repubblica federale tedesca al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalle gravi violazioni dei diritti umani fondamentali subite dal padre, proprio in virtù del già citato cambio di indirizzo sulla norma immunitaria a cui si era assistito nella nostra giurisprudenza. Lo Stato tedesco si costituiva in giudizio contestando la pretesa attorea, e, in corso di causa, proponeva regolamento preventivo di giurisdizione, sul quale si pronunciava la Corte di cassazione nel 2008, che, confermando il nuovo orientamento, riconosceva la giurisdizione italiana[2]. Tuttavia, il Tribunale di Firenze, nella sua sentenza del 2012, dichiarava la domanda del ricorrente inammissibile per difetto di giurisdizione nei confronti della Germania[3], in forza di un’intervenuta pronuncia della Corte internazionale di giustizia, che aveva smentito la correttezza dell’indirizzo espresso dai nostri giudici rispetto alla norma sull’immunità[4]. A seguito dell’impugnazione della sentenza di primo grado, la Corte di Appello di Firenze confermava la decisione del Tribunale nel 2018[5]. Il sig. Toldo ricorreva allora per cassazione. Tra i motivi proposti, veniva lamentato il mancato rispetto della disciplina sull’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione straniera alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza italiana successiva alla pronuncia dei giudici dell’Aja, rappresentata in particolare da una sentenza della Corte costituzionale del 2014, che aveva rigettato l’interpretazione fornita dalla Corte internazionale di giustizia[6], nonché dalle successive pronunce ad essa conformi. La Suprema Corte, con la sentenza n. 20442/2020, ha cassato la decisione dei giudici di seconde cure, riportando – come vedremo – la vexata quaestio dell’esenzione dello Stato straniero dalla giurisdizione italiana sui binari già da tempo tracciati dalla giurisprudenza di costituzionalità e di legittimità, da cui la Corte di Appello di Firenze si era – a dire il vero inspiegabilmente – discostata. 3. Nell’argomentare la decisione, i giudici di Cassazione hanno ripercorso le tappe fondamentali che hanno condotto al volto attuale della norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione civile di cognizione nell’ordinamento italiano. Come anticipato, a partire dalla metà del primo decennio di questo secolo iniziava a svilupparsi in Italia una corrente giurisprudenziale che ridimensionava l’originaria portata dell’immunità relativa degli Stati dalla giurisdizione civile straniera: il diniego dell’esenzione dalla giurisdizione nei confronti di un Paese estero, che fino a quel momento era stato ammesso solo per gli acta iure gestionis[7], ovvero per gli atti compiuti dall’ente straniero al pari di un privato cittadino, veniva, infatti, esteso anche a taluni acta iure imperii. In particolare, con la nota sentenza Ferrini, la Corte di cassazione riconosceva che il rispetto dei diritti inviolabili della persona è divenuto un principio fondamentale all’interno dell’ordinamento internazionale, tanto da ridimensionare la portata di altri principi tra cui l’eguaglianza tra Stati alla base della norma che sancisce l’immunità degli enti sovrani dalla giurisdizione straniera. Alla luce di tale presupposto, veniva sancito che qualora un Paese si sia reso responsabile di condotte di una gravità tale da configurare, in forza di norme di diritto internazionale consuetudinario, crimini internazionali, questi non possa mai invocare l’esenzione dalla giurisdizione straniera, nemmeno nell’ipotesi in cui gli illeciti siano stati da esso perpetrati nell’esercizio delle sue prerogative sovrane[8]. Il dictum della Ferrini aveva largo seguito nella nostra giurisprudenza: a fronte della proposizione di domande risarcitorie avverso la Germania per i danni causati da atti iure imperii concretatisi in crimini internazionali, veniva, infatti, sistematicamente disconosciuta l’immunità invocata dallo Stato tedesco[9]. In virtù dell’orientamento assunto da parte dei nostri giudici, e delle conseguenti condanne ricevute per gli illeciti commessi, la Repubblica federale tedesca, alla fine del 2008, adiva la Corte internazionale di giustizia, lamentando alcune violazioni di diritto internazionale da parte dell’Italia, tra cui il mancato rispetto della norma immunitaria che – secondo l’assunto della ricorrente – avrebbe garantito indistintamente l’esenzione di uno Stato dalla giurisdizione civile straniera per tutti gli atti rappresentativi dell’esercizio delle potestà di imperio dell’ente straniero[10]. La Corte internazionale di giustizia con la sentenza emessa il 3 febbraio 2012 nel caso Immunità giurisdizionali dello Stato: (Germania c. Italia: Grecia interveniente) accoglieva l’interpretazione della norma consuetudinaria sull’immunità fornita dallo Stato tedesco: l’Italia veniva, pertanto, condannata per la violazione della norma predetta, sulla base del fatto che i giudici italiani non avrebbero potuto esercitare la propria giurisdizione rispetto alle azioni risarcitorie promosse nei confronti della Germania per danni derivanti da delicta imperii, e riceveva altresì l’intimazione di adottare le misure necessarie per garantire che le decisioni dei suoi tribunali, rese in violazione della norma sull’immunità, cessassero di produrre effetti[11]. L’adattamento da parte dell’Italia a quanto statuito dai giudici dell’Aja avveniva tramite l’art. 3, L. n. 5 del 2013, che, al c. 1, sanciva l’obbligo per il giudice di dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del processo per quelle condotte proprie di uno Stato estero per cui la Corte internazionale di giustizia avesse escluso l’assoggettamento a giurisdizione civile; il c. 2 prevedeva una nuova ipotesi di revocazione per difetto di giurisdizione civile nei confronti di quelle sentenze passate in giudicato in contrasto con la decisione dell’Aja[12]. Sembrava, dunque, che la giurisprudenza italiana di contrasto all’interpretazione tradizionale della norma immunitaria fosse giunta al capolinea: le nuove pronunce dei giudici italiani post sentenza della CIG riconoscevano l’esenzione dalla giurisdizione nei confronti degli Stati esteri anche a fronte della perpetrazione di crimini internazionali[13]. Senonché, all’inizio del 2014, il Tribunale di Firenze sollevava tre questioni di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 2 e 24 della Cost. rispetto: 1) alla norma che si riteneva all’epoca prodotta nell’ordinamento italiano tramite il recepimento, ex art. 10, c. 1, Cost., della consuetudine di diritto internazionale sull’immunità degli Stati esteri così come interpretata dalla Corte internazionale di giustizia nella sentenza del 3 febbraio 2012; 2) all’art. 1 della L. n. 848 del 1957 nella parte in cui, recependo l’art. 94 dello Statuto ONU, obbligava il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia di giudici dell’Aja; 3) all’art. 3 della L. n. 5 del 2013 nella parte in cui obbligava il giudice italiano a conformarsi alla decisione della Corte internazionale di giustizia[14]. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 238 del 2014, sosteneva che l’interpretazione della norma consuetudinaria di diritto internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile straniera fornita dalla Corte internazionale di giustizia si ponesse in contrasto con i principi supremi – espressi dagli artt. 24 e 2 – della nostra Costituzione, impedendo, l’accertamento giurisdizionale e l’eventuale condanna dello Stato convenuto anche nei casi di gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona. Pertanto, la Consulta dichiarava non fondata la prima questione, sostenendo che la norma consuetudinaria, così come interpretata dalla Corte internazionale di giustizia, non avesse in realtà mai fatto ingresso ex art. 10, c. 1, Cost. nel nostro ordinamento in virtù dell’applicazione dei controlimiti[15]. Inoltre, dichiarava l’illegittimità costituzionale della seconda e della terza questione, in quanto aventi ad oggetto le norme che avevano dato esecuzione all’interno del nostro ordinamento all’interpretazione fornita dai giudici dell’Aja[16]. La giurisprudenza successiva si conformava puntualmente a quanto espresso dalla Corte costituzionale[17], condannando senza eccezione la Germania al risarcimento dei danni a fronte della commissione di crimini internazionali[18], e ciò nonostante la sentenza della Consulta sulla prima questione fosse tecnicamente – come evidenziato – una interpretativa di rigetto, vincolante dunque – in linea di principio – solo per il giudice a quo[19]. 4. Una volta ricostruito il quadro della materia, la Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, si è pronunciata sulla decisione dei giudici di seconde cure, sottolineando come questa si fosse erroneamente fondata su un orientamento ormai superato, limitandosi ad analizzare criticamente gli argomenti che erano stati posti dal Tribunale di Firenze anni prima alla base delle questioni di costituzionalità sollevate, senza confrontarsi con la decisione della Consulta – all’epoca della statuizione della Corte di Appello di Firenze già da tempo intervenuta – che aveva invece di fatto recepito le tesi del giudice fiorentino, e con il nuovo indirizzo ad essa conforme successivamente consolidatosi. Pertanto, alla luce delle considerazioni esposte, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza di appello. 5. La pronuncia in commento conferma l’esistenza di un categorico rifiuto da parte dei giudici italiani di applicare, a fronte di gravi violazioni dei diritti fondamentali degli individui, la norma di diritto internazionale consuetudinario che – come chiarito dalla Corte internazionale di giustizia – garantirebbe, senza alcuna eccezione, l’immunità nei confronti degli Stati esteri per tutti gli atti da questi compiuti iure imperii. La conclusione a cui è addivenuta la nostra giurisprudenza è sempre stata, infatti, la medesima, nonostante il dissenso sia stato espresso nel corso degli anni in maniera poliforme. Inizialmente, con la sentenza Ferrini, la Corte di Cassazione poneva in essere un ragionamento sul piano del diritto internazionale, ricorrendo, tra le varie argomentazioni, anche a quella che in dottrina è stata qualificata come Normative Hierarchy Theory, secondo cui il contrasto tra norme dell’ordinamento internazionale deve essere risolto in base ad un criterio gerarchico[20]. La Corte chiariva che le norme a tutela dei diritti fondamentali della persona umana – che configurano quali crimini internazionali i comportamenti che più gravemente attentano all’integrità di tali valori – sono inderogabili (il c.d. ius cogens) e si pongono al vertice dell’ordinamento internazionale, e che, pertanto, in caso di conflitto con qualsiasi altra norma internazionale, sia questa di carattere convenzionale o consuetudinario, le norme cogenti debbano necessariamente prevalere. In forza di tale presupposto, i giudici affermavano che in caso di collisione tra le norme sui crimini internazionali e la norma consuetudinaria sull’immunità, quest’ultima dovesse considerarsi recessiva[21]. Da ciò la Corte faceva di fatto discendere l’esistenza di un’eccezione alla norma sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione straniera per acta iure imperii, ogni qual volta tali atti si fossero concretati in gravi violazioni dei diritti umani fondamentali[22]. Questo approccio è stato tuttavia smentito dalla Corte internazionale di giustizia, la quale impediva che l’argomentazione spesa dai giudici nella Ferrini potesse nuovamente trovare applicazione nel nostro ordinamento, ricorrendo alla c.d. tesi dell’eterogeneità strutturale delle norme[23]. La Corte dell’Aja escludeva, infatti, la possibilità che potesse instaurarsi un contrasto tra le norme sull’immunità e le norme di ius cogens a tutela dei diritti umani fondamentali, e ciò in virtù della loro diversa natura e delle diverse questioni da esse affrontate. Mentre le norme sull’immunità avrebbero carattere procedurale e si limiterebbero a determinare se i tribunali di uno Stato possano esercitare o meno la giurisdizione nei confronti di un Paese straniero, quelle sui diritti umani avrebbero, al contrario, natura sostanziale e sancirebbero l’eventuale illiceità delle condotte alla base dell’azione promossa. Per tale ragione le due categorie di norme troverebbero applicazione in due momenti processuali distinti, e non potrebbero, pertanto, mai entrare in rotta di collisione tra loro[24]. Sulla base di tale presupposto, la Corte concludeva che la norma sull’immunità degli Stati esteri per acta iure imperii non subisse alcuna eccezione[25]. A fronte dello sbarramento creato dall’interpretazione autentica della norma consuetudinaria da parte dei giudici dell’Aja, la Consulta – o per meglio dire ancor prima il Tribunale di Firenze rimettente – adottava una nuova prospettiva, ancorata al diritto interno e ai suoi principi supremi, che – come ricordato – escludeva l’ingresso nel nostro ordinamento della norma consuetudinaria così come interpretata dalla Corte internazionale di giustizia. Le decisioni dei giudici italiani successive alla pronuncia della Corte costituzionale si sono rese portavoce di quanto ereditato dalla giurisprudenza precedente, sottolineando come, nonostante la differenza di approccio adottata dalla Corte costituzionale rispetto alla sentenza Ferrini, il risultato non sia mutato: anche non volendo riconoscere, infatti, l’esistenza ex se nell’ordinamento internazionale di un’eccezione alla norma immunitaria a fronte di gravi violazioni dei diritti umani fondamentali, tale eccezione viene in concreto comunque applicata nell’ordinamento italiano[26]. Nonostante, dunque, i contorni dei due orientamenti a livello teorico possano sembrare ben definiti e distinti, questi nella pratica finiscono per sovrapporsi fino a fondersi l’uno nell’altro. A prescindere dai giudizi di valore che possono essere formulati rispetto ai diversi approcci alla norma immunitaria, il dato che merita di essere evidenziato è come la giurisprudenza italiana attualmente consolidatasi, confermata ancora una volta dalla sentenza n. 20442/20 della Suprema Corte, sia indubbiamente espressione di un importante principio di civiltà giuridica: essa, infatti, pone al centro i diritti dei singoli individui a discapito di una norma di diritto internazionale che rischierebbe altrimenti – come effettivamente per lungo tempo è stato – di tutelare ciecamente la sovranità statuale, e ciò anche qualora gli Stati si siano resi responsabili di crimini internazionali. 6. Una volta fatta questa premessa, occorre, tuttavia, chiedersi quale sia concretamente l’effettiva portata del principio affermato dall’orientamento giurisprudenziale in questione, ovvero se esso sia in grado di garantire concretamente quella tutela che si propone di offrire in caso di gravi violazioni dei diritti umani fondamentali. Per rispondere alla domanda, deve essere preso in considerazione un altro grande tema che viene ineluttabilmente a pesare sul risarcimento delle vittime dei crimini del Reich e dei loro eredi: la Repubblica federale tedesca non ha provveduto a pagare i risarcimenti ai quali è stata condannata in via giudiziale, determinando la necessità di garantire la soddisfazione dei crediti attraverso il ricorso a vie alternative, in primis all’esecuzione forzata su eventuali beni di sua proprietà siti nel territorio italiano. L’esecuzione forzata pone, però, numerosi problemi, anzitutto per l’esiguità dei beni tedeschi rinvenibili in Italia, e, soprattutto, per l’esistenza di un’altra norma di diritto internazionale consuetudinario che non è stata – perlomeno al momento – intaccata dalla giurisprudenza italiana, ovvero l’immunità dei beni degli Stati dalle misure coercitive straniere. Tale norma prevede che non possano essere adottate misure coercitive nei confronti di beni ad uso o destinazione pubblicistica, consentendo, dunque, l’esecuzione forzata solo ed esclusivamente sui beni privi della predetta caratterizzazione[27]. Anche sulla corretta interpretazione di quest’ultima disposizione si pronunciava la Corte internazionale di giustizia nella menzionata sentenza del 3 febbraio 2012. Tra i motivi di ricorso della Germania ai giudici dell’Aja vi era, infatti, la violazione della norma sull’immunità dei beni dei Paesi stranieri da parte dello Stato italiano, a seguito dell’avvenuta iscrizione di ipoteca su Villa Vigoni, immobile di proprietà tedesca sito sul lago di Como, al fine di dare esecuzione ad alcune sentenze greche, di cui era stato chiesto l’exequatur in Italia, che avevano condannato la Germania al risarcimento dei danni per la strage commessa nel 1944 nel villaggio ellenico di Distomo[28]. La Corte internazionale confermava l’impossibilità di sottoporre i beni di uno Stato ad uso o destinazione pubblicistica a misure coercitive straniere, escludendo in particolare, l’assoggettabilità di Villa Vigoni all’esecuzione italiana proprio in virtù della sua funzione pubblicistica, e condannando, dunque, l’Italia anche sotto questo profilo[29]. Contrariamente però a quanto avvenuto per l’immunità dalla giurisdizione di cognizione straniera, la norma prodotta ex art. 10, c. 1, Cost. dalla consuetudine internazionale sull’esecuzione nella parte in cui riconosce l’immunità anche in caso di crimini internazionali non è stata oggetto nel nostro ordinamento di scrutinio costituzionale per violazione dei principi supremi della Costituzione, nonostante in passato vi fosse stato un tentativo di sottoporre la questione alla Consulta. Una domanda in tal senso era stata proposta al Tribunale di Como, chiamato, a seguito dell’iscrizione di ipoteca su Villa Vigoni, a pronunciarsi circa la legittimità del titolo su cui l’esecuzione si fondava e a disporre eventualmente la cancellazione della misura esecutiva; tuttavia, il giudice a quo aveva dichiarato la questione di costituzionalità inammissibile. La Corte di Cassazione, pertanto, a conclusione del giudizio su Villa Vigoni, aveva – in conformità all’interpretazione tradizionale della norma consuetudinaria di diritto internazionale sulle misure esecutive applicabili ai beni di Stati esteri, ribadita dai giudici dell’Aja nella loro sentenza – dichiarato l’immunità dell’immobile in ragione della sua destinazione pubblicistica[30]. Sembrerebbe, dunque, profilarsi una situazione di stallo: la Germania viene condannata dai giudici italiani in sede cognitiva per i danni cagionati dai crimini della seconda guerra mondiale, ma la norma sulle misure esecutive disinnesca di fatto la portata di tali pronunce, escludendo un’effettiva tutela per i diritti umani fondamentali, la cui primazia viene effettivamente affermata ma – almeno per il momento – solo sulla carta. Come uscire da questa impasse? Diverse potrebbero essere le strade percorribili. Difficilmente la Repubblica Federale Tedesca intratterrà dei negoziati con lo Stato italiano per addivenire ad una soluzione[31]: l’Italia potrebbe, allora, rendersi parte diligente e sostituirsi allo Stato tedesco nell’adempimento dei risarcimenti, come da tempo la dottrina maggioritaria suggerisce[32]. Un’altra possibilità potrebbe essere quella di identificare beni tedeschi locati sul territorio italiano privi di quella destinazione pubblicistica che preclude l’esecuzione forzata. Recentemente sono stati fatti alcuni tentativi in tal senso attraverso l’avviamento di plurime azioni esecutive su beni riconducibili alla Germania: terreni situati tra Plesio e Menaggio; un albergo sito sul lago di Como, e, ancora, crediti che le ferrovie tedesche vanterebbero nei confronti di Trenitalia s.p.a e Ferrovie italiane s.p.a., in ragione dei rapporti commerciali tra essi intrattenuti[33]. Qualora, tuttavia, i beni esecutati dovessero essere qualificati come aventi destinazione pubblicistica, e fossero dunque insuscettibili di essere assoggettati ad esecuzione forzata, è verosimile che venga proposta la questione circa la costituzionalità della norma prodotta nel nostro ordinamento sulla base del recepimento ex art. 10, c. 1, Cost. della consuetudine internazionale sulle misure esecutive nei confronti degli Stati esteri nell’interpretazione datane dalla Corte internazionale di giustizia rispetto ai principi supremi del nostro ordinamento. La questione di costituzionalità potrebbe, peraltro, essere sollevata anche rispetto all’art. 19-bis della L. n. 162 del 2014[34], adottato all’indomani della pronuncia della nostra Consulta per porre un freno – come evidenziato da autorevole dottrina – agli effetti pregiudizievoli che la 238 avrebbe determinato nei confronti dello Stato tedesco[35]. Tale articolo statuisce, infatti, che i conti correnti degli Stati esteri destinati, sulla base di una dichiarazione unilaterale dell’ente straniero, all’espletamento di funzioni pubbliche, non possano essere soggetti a misure esecutive. Occorrerà, dunque, eventualmente attendere che i giudici di merito sollevino le questioni di costituzionalità e che la Corte si pronunci sul punto. Se lo Stato tedesco non ha fino ad oggi di fatto “reagito” alla sentenza della Consulta e alle successive condanne dei giudici[36], qualora l’esecuzione dovesse avere luogo – o per l’individuazione di beni privi della destinazione pubblicistica o perché i giudici costituzionali dovessero adottare una sentenza sulla falsariga della 238/2014, e venisse, dunque, dato il via libera, in caso di gravi violazioni dei diritti fondamentali dell’individuo da parte dell’ente straniero, all’esecuzione anche su beni aventi la predetta destinazione – la situazione muterebbe radicalmente, ed un intervento – tedesco o italiano che fosse – non sarebbe più rimandabile. [1] Cass., sez. un. civ., sent. 28 settembre 2020, n. 20442. [2] Cass., sez. un. civ., ord. 29 maggio 2008, n. 14202. L’ordinanza faceva parte di una serie di pronunce (Cass., sez. un. civ., 29 maggio 2008, da n. 14199 a 14211) che esprimevano il medesimo principio. In generale sulle decisioni – nonostante il contributo si soffermi specificamente sull’ordinanza n. 14201 – v. C. Focarelli, Diniego dell’immunità giurisdizionale degli Stati stranieri per crimini, jus cogens e dinamica del diritto internazionale, in Rivista di diritto internazionale, 2008, p. 738 ss. [3] Tribunale di Firenze, sent. 28 marzo 2012, n. 1086. [4] Corte internazionale di giustizia, sent. 3 febbraio 2012, Immunità giurisdizionali dello Stato (Germania c. Italia: Grecia interveniente), di cui si dirà meglio infra. Vastissima la bibliografia sulla pronuncia che era fortemente attesa nella comunità internazionale. Si v. ex multis la monografia, alla quale si rinvia per ulteriori riferimenti dottrinali, di T. Russo, Immunità dalla giurisdizione per atti di Stati stranieri, Editoriale Scientifica, 2012. V. anche ex multis A. Ciampi, The International Court of Justice between “reason of State” and demands for justice by victims of serious internazional crimes, in Rivista di diritto internazionale, 2012, p. 374 ss.; K. N. Trapp, A. Mills, Smooth Runs the Water Where the Brook is Deep: the Obscured Complexities of Germany v. Italy, in Cambridge Journal of International and Comparative Law, 2012, p. 153 ss.; i contributi pubblicati in Italian Yearbook of International Law, Vol. 21, 2011, p. 133 ss. e in Diritti umani e diritto internazionale, 2012, p. 393 ss. [5] Corte di Appello di Firenze, sent. 17 dicembre 2018, n. 2945. [6] Corte costituzionale, sent. 22 ottobre 2014, n. 238, sulla quale si rinvia a quanto verrà specificato infra. La decisione della Consulta ha avuto un forte rilievo sia a livello nazionale sia internazionale. La letteratura è, pertanto, particolarmente ampia. In questa sede ci si limita a rinviare a P. Veronesi, Colpe di Stato, Franco Angeli, 2017 e alla bibliografia ivi richiamata. Si veda anche ex multis E. Cannizzaro, Jurisdictional Immunites and Judicial Protection: the Decision of the Italian Constitutional Court No. 238 of 2014, in Rivista di diritto internazionale, 2015, p. 126 ss.; C. Meloni, La Corte costituzionale annulla gli effetti della decisione della CIG in materia di immunità giurisdizionale dello Stato estero, in Diritto penale contemporaneo, 24 ottobre 2014; gli articoli pubblicati in Questions of International Law, Zoom out II, 2014, p. 5 ss. e in Journal of International Criminal Justice, 2016, p. 569 ss. [7] La tesi dell’immunità relativa – sostituitasi a quella dell’immunità assoluta a partire dalla seconda metà del XIX secolo – è stata per anni sistematicamente applicata dai nostri tribunali nella sua originaria formulazione che garantisce l’esenzione degli Stati dalla giurisdizione straniera per tutti gli acta iure imperii. V. ex multis Cass., sez. un. civ., sent. 3 agosto 2000, n. 520. Per un commento alla decisione v. P. Simone, L’immunità dello Stato straniero dalla giurisdizione per attività di addestramento alla guerra mediante velivoli militari della NATO, in Giustizia civile, 2001, p. 747 ss. In generale sulla disciplina dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione estera e la sua evoluzione, v. ex multis H. Fox, P. Webb, The Law of State Immunity, Oxford University Press, 2015; R. Nigro, Le immunità giurisdizionali dello Stato e dei suoi organi e l’evoluzione della sovranità nel diritto internazionale, Cedam, 2018. [8] Cass., sez. un. civ., sent. 11 marzo 2004 n. 5044. La sentenza, in virtù della posizione innovativa assunta, è stata oggetto di numerosi contributi dottrinali. Si veda ex multis A. Gianelli, Crimini internazionali ed immunità degli Stati dalla giurisdizione nella sentenza Ferrini, in Rivista di diritto internazionale, 2004, p. 643 ss.; M. Iovane, The Ferrini Judgment of the Italian Supreme Court: Opening Up Domestic Courts to Claim of Reparations for Victims of Serious Violations of Fundamental Human Rights, in Italian Yearbook of International Law, 2004, p. 165 ss.; P. De Sena, F. De Vittor, State Immunity and Human Rights: The Italian Supreme Court Decision on the Ferrini Case, in European Journal of International Law, 2005, p. 89 ss.; A. Gattini, War Crimes and State Immunity in the Ferrini Decision, in Journal of International Criminal Justice, 2005, p. 224 ss. [9] Si vedano le già richiamate pronunce della Cass., sez. n. civ., 29 maggio 2008, nn. 1499-14211. V. anche Cass., sez. I pen., sent. 13 gennaio 2009, n. 1072, sulla quale v. M. Frulli, La ‘derogabilità’ della norma sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione in caso di crimini internazionali: la decisione della Corte di Cassazione sulla strage di Civitella della Chiana, in Diritti umani e diritto internazionale, 2009, p. 442 ss. [10] Corte internazionale di giustizia, cit., Requête della Repubblica federale tedesca del 23 dicembre 2008, su cui v. per tutti F. Marongiu Buonaiuti, Azioni risarcitorie per la commissione di crimini internazionali ed immunità degli Stati dalla giurisdizione: la controversia tra Germania e Italia innanzi alla Corte internazionale di giustizia, in Diritti umani e diritto internazionale, 2011, p. 232 ss. [11] Corte internazionale di giustizia, cit., par. 139. [12] Sull’art. 3 della L. n. 5 del 2013 v. A. Ciampi, L’Italia attua la sentenza della Corte internazionale di giustizia nel caso Germania c. Italia, in Rivista di diritto internazionale, 2013, p. 146 ss. [13] V. Cass., sez. I pen., sent. 30 maggio 2012, n. 32139; Cass., sez. un. civ., ord. 21 febbraio 2013 n. 4284; Cass., sez. un., sent. 21 gennaio 2014, n. 1136. [14] Tribunale di Firenze, ord. 21 gennaio 2014, nn. 84, 85 e 113, sulle quali si rinvia per tutti a C. Meloni, Ancora in tema di immunità giurisdizionali degli Stati e responsabilità (civile) per crimini internazionali, in Diritto penale contemporaneo, 4 febbraio 2014; D. Russo, Il rapporto tra norme internazionali e principi della Costituzione al vaglio della Corte costituzionale: il Tribunale di Firenze rinvia alla Consulta la questione delle vittime dei crimini nazisti, in Osservatorio sulle fonti, 2014, p. 11 ss.; G. D’Agnone, Immunità degli Stati stranieri e garanzia costituzionale dell’accesso al giudice: conflitto reale?, in Quaderni costituzionali, 2014, p. 639 ss. [15] V. Corte costituzionale, cit., par. 3.5 del Considerato in diritto. [16] Ibidem, par. 4.1 e 5.1. [17] La Corte costituzionale ribadiva il suo orientamento con l’ordinanza del 3 marzo 2015, n. 30, pronunciata a seguito della rimessione operata dal Tribunale di Firenze con una quarta ordinanza (ord. 21 gennaio 2014, n. 143) avente ad oggetto le medesime questioni su cui la Consulta si era espressa con la 238/2014. Sull’ordinanza fiorentina n. 30 del 2015 v. F. Girelli, La super doppia pronuncia: l’immunità degli Stati dalla giurisdizione per crimini internazionali in Italia non esiste, in Federalismi.it, 29 febbraio 2016. [18] V. ex multis Cass., sez. un. civ., sent. 29 luglio 2016, n. 15812; Cass., sez. un. civ., sent. 13 gennaio 2017, n. 762; Tribunale di Brescia, sent. 9 luglio 2019, n. 2125; Corte di Appello di Firenze, sent. 12 novembre 2019, n. 2964 [19] Sul punto è opportuno sottolineare come la giurisprudenza di legittimità abbia ricordato che la formula interpretativa di rigetto preveda un vincolo negativo, consistente nell’imperativo di non applicare la norma ritenuta non conforme al parametro costituzionale evocato e scrutinato dalla Corte costituzionale, sia per il giudice a quo sia per tutti gli altri giudici comuni (Cass., sez. un. civ., sent. 16 dicembre 2013, n. 27986). [20] In generale sulla Normative Hierarchy Theory v. ex multis J. A. Gergen, Human Rights and the Foreign Sovereign Immunities, in Virginia Journal of International Law, 1995, p. 407 ss.; A. Orakhelashvili, State Immunity and International Public Order Revisited, in German Yearbook of International Law, 2006, p. 327 ss. Con specifico riferimento alla sentenza Ferrini v. per tutti N. Ronzitti, L’eccezione dello ius cogens alla regola dell’immunità degli Stati è compatibile con la Convenzione delle Nazioni Unite del 2005?, in F. Francioni, M. Gestri, N. Ronzitti, T. Scovazzi (a cura di), Accesso alla giustizia dell’individuo nel diritto internazionale e dell’Unione europea, p. 45 ss., spec. p. 49. [21] V. in particolare par. 9.1 della sentenza Ferrini, ove sono state richiamate anche le opinioni dissenzienti espresse dai giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Al-Adsani, secondo cui la Corte avrebbe dovuto riconoscere la prevalenza delle norme di ius cogens rispetto alla norma che sancisce l’immunità degli Stati dalla giurisdizione straniera. V. Corte europea dei diritti dell’uomo, sent. 21 novembre 2001, Al Adsani c. Regno Unito, ricorso n. 35763/97. [22] par. 12 della sentenza Ferrini. [23] In generale sulla tesi della eterogeneità strutturale v. ex multis A. Zimmermann, Sovereign Immunity and Violation of International Jus Cogens. Some Critical Remarks, in Michigan Journal of International Law, 1995, p. 438 ss.; J. Bröhmer, State Immunity and the Violation of Human Rights, Martinus Nijhoff Publishers, 1997. Rispetto alla pronuncia della CIG v. per tutti C. Tomuschat, Human Rights Between Idealism and Realism, Oxford University Press, 2014. [24] Corte internazionale di giustizia, cit., par. 93. L’approccio adottato dalla Corte internazionale di giustizia è stato fortemente criticato da autorevoli voci in dottrina, i quali lo hanno definito “formalistico”. In questo senso si sono, ad esempio, espressi N. Ronzitti, Un cambio di orientamento della Cassazione che favorisce i risarcimenti delle vittime, in Guida al diritto, 10 aprile 2004, n. 14, p. 38 ss.; R. Pisillo Mazzeschi, Il rapporto tra norme di ius cogens e la regola sull’immunità degli Stati: alcune osservazioni critiche sulla sentenza della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012, in Diritti umani e diritto internazionale, 2012, p. 310 ss. [25] Corte internazionale di giustizia, cit., par. 97. Tra le opinioni dissenzienti allegate alla sentenza della CIG, si segnala quella del giudice Conçado Trindade, il quale ha rigettato la tesi dell’eterogeneità strutturale delle norme, sostenendo che, contrariamente a quanto affermato dalla maggioranza, ben potesse sussistere un conflitto tra le norme cogenti e la norma sull’immunità degli Stati, conflitto che dovrebbe essere risolto a favore delle prime. [26] Sul punto evocativo è un passaggio della già citata Cass., sez. un. civ., sentenza 13 gennaio 2017, n. 762: «[…] Queste Sezioni Unite hanno già avuto occasione di affermare che l’immunità dalla giurisdizione civile degli Stati esteri per atti “iure imperii” costituisce una prerogativa (e non un diritto) riconosciuta da norme consuetudinarie internazionali, la cui operatività è preclusa nel nostro ordinamento, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 238 del 2014, per i “delicta imperii”, per quei crimini, cioè, compiuti in violazione di norme internazionali di “ius cogens”, in quanto tali lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali (Cass. Sez. un. 15812/16). Il Collegio concorda con il nuovo orientamento appena citato che si riporta in sostanza confermandolo al precedente orientamento […] prima della sentenza della Corte internazionale di Giustizia del 2012 e della conseguente riforma normativa di cui la L. n. 5 del 2013, art. 3 […] (Cass., Sez. Un. 14201/08; Cass., Sez. n. 5044/04; Cass., sez. 1^, 1163/11)». [27] Sulla norma dell’immunità dei beni degli Stati dalle misure esecutive straniere, si veda per tutti L. Radicati Di Brozolo, La giurisdizione esecutiva e cautelare nei confronti degli Stati stranieri, Giuffré, 1992. [28] Rispetto alla “questione greca” si consenta il rinvio a G. Berrino, La questione dei risarcimenti alle vittime dei crimini commessi dal Terzo Reich durante la II guerra mondiale: uno sguardo alla Grecia passando dall’Italia (e non solo), in Lo Stato, 2019, p. 207 ss. [29] Corte internazionale di giustizia, cit., par. 113 e ss.; par. 139. [30] Cass., sez. III civ., sentenza dell’8 giugno 2018, n. 14885, su cui si v. O. Lopes Pegna, Giù le mani da Villa Vigoni: quale tutela «effettiva» per le vittime di gravi crimini compiuti da Stati esteri?, in Rivista di diritto internazionale, 2018, p. 1237 ss.; P. Rossi, The Aftermath of the Italian Constitutional Court Judgment No. 238 of 2014 in Exequatur and Enforcement Proceedings, in Italian Yearbook of International Law, 2018, p. 455 ss. [31] Si segnala, infatti, come già la Corte internazionale di giustizia, nella sua sentenza del 3 febbraio 2012, avesse auspicato l’esperimento di ulteriori negoziati tra Germania e Italia al fine di risolvere la questione dei risarcimenti nei confronti dei cittadini italiani vittime di crimini internazionali da parte del regime nazista (v. par. 104). Tuttavia, tale auspicio non ha ad oggi avuto seguito. [32] In tal senso si sono espressi, ad esempio, E. Cannizzaro, op. cit., p. 131; P. Palchetti, Judgment 238/2014 of the Italian Constitutional Court: In Search of a Way out, in Questions of International Law, Zoom out II, 2014, p. 44 ss., spec. p. 47. [33] Sulla vicenda del pignoramento dei crediti delle ferrovie tedesche e sull’iter giudiziario attualmente in essere, si consenta di rinviare a G. Berrino, La Corte di Cassazione torna sul tema delle immunità giurisdizionali degli Stati stranieri e dei loro beni, in Rivista di diritto internazionale, 2020, 3, in corso di pubblicazione. [34] L. 10 novembre 2014, n. 162, sulla quale si veda B. Conforti, Il legislatore torna indietro di circa novant’anni: la nuova norma sull’esecuzione sui conti correnti di Stati stranieri, in Rivista di diritto internazionale, 2015, p. 558 ss. [35] In questo senso si è espresso B. Conforti, op. cit., p. 558. [36] La Repubblica federale tedesca si è limitata – perlomeno ufficialmente – ad inviare una nota verbale all’Italia il 5 gennaio 2015, chiedendo che venisse precisato come lo Stato italiano intendesse attendere agli obblighi imposti dalla Corte internazionale di giustizia con la sentenza del 3 febbraio 2012. Tuttavia, la Germania, a fronte del mancato rispetto da parte dell’Italia della sentenza dei giudici dell’Aja, potrebbe – e ben avrebbe potuto – ricorrere a diversi rimedi, tra cui: i) adire il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ex art. 94, c. 2, Carta ONU, il quale, ove lo ritenesse necessario, avrebbe la facoltà di fare raccomandazioni o di decidere circa le misure da prendere affinché la sentenza della CIG abbia effettivamente esecuzione; ii) rivolgersi al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, sulla base dell’art. 39, c. 2, della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla soluzione pacifica delle controversie del 1957, che potrebbe anch’esso formulare alcune raccomandazioni al fine di garantire l’osservanza della decisione della Corte; iii) proporre un nuovo ricorso alla CIG, questa volta per la violazione da parte dell’Italia della sentenza internazionale. |
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