Nota di Francesco Murone, in www.iusinitinere.it
1) Le ragioni di una riforma non più rinviabile Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 237 del 4 ottobre 2021 della Legge 27 settembre 2021, n. 134 recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari” si conclude l’iter di approvazione parlamentare della c.d. riforma Cartabia. Alla base della riforma vi è l’ormai endemica inefficienza dei procedimenti civili e penali. Come risulta dal dato del numero dei procedimenti instaurati dalla CEDU contro lo Stato Italiano[1], su un totale di 2424 procedimenti celebrati a partire dal 1959, ben 1202 hanno comportato la condanna per violazione della ragionevole durata del processo ex art. 6 CEDU. La necessità di una riforma è palesata dallo stesso Ministro della Giustizia Marta Cartabia, il quale ha ricordato come la Commissione europea abbia richiesto all’Italia la riduzione dei tempi dei processi affinché possano essere erogati i 191,5 miliardi di euro dei fondi del NextgGeneration EU. Gli obiettivi fissati si attestano, per i prossimi cinque anni, nella riduzione del 40% dei tempi dei giudizi civili e del 25% di quelli dei giudizi penali[2]. Vi è, dunque, nelle intenzioni normative, una stretta correlazione tra la velocizzazione e l’efficientamento dei procedimenti e il principio della ragionevole durata del processo[3]. Ratio complessiva della recente riforma, che si innesta in un più ampio piano di intervento sul settore Giustizia, è quella di velocizzare il processo penale mediante una sua deflazione e digitalizzazione[4], allo scopo di razionalizzare l’attività procedimentale e contenere i costi temporali e materiali del giudizio[5]. 2) L’impalcatura della riforma La norma da poco licenziata contiene due soli articoli. Con l’art. 1 il Parlamento conferisce alcune deleghe al Governo, il quale è autorizzato ad adottare “uno o più decreti legislativi” con finalità di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo penale. A tal fine, l’art. 1, c. 5, lett. a) pone al legislatore delegato una serie di principi e criteri direttivi generali: a) gli atti e documenti processuali devono essere formati e conservati in formato digitale; b) nei procedimenti penali, in ogni stato e grado, il deposito di atti e documenti, le comunicazioni e le notificazioni devono essere effettuati con modalità telematiche; c) le trasmissioni e le ricezioni in via telematica devono assicurare al mittente e al destinatario certezza, anche temporale, dell’avvenuta trasmissione e ricezione.All’art. 2, invece, trovano collocazione una serie di disposizioni a contenuto immediatamente innovativo. Tra le più significative, si richiama l’art. 2, c. 2, il quale ha introdotto il nuovo art. 344-bis c.p.p., rubricato “improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione”. 3) Il nuovo domicilio telematico privato In relazione al set di deleghe conferite al Governo particolare rilievo assume il nuovo domicilio telematico privato. Norma di riferimento è l’art. 1, c. 6, lett. a), la quale prevede, in primo luogo, che “l’imputato non detenuto o internato abbia l’obbligo, fin dal primo contatto con l’autorità procedente, di indicare anche i recapiti telefonici e telematici di cui ha la disponibilità”; in secondo luogo, dispone che l’art. 161 c.p.p. sia modificato, di modo che “l’imputato non detenuto o internato abbia la facoltà di dichiarare domicilio ai fini delle notificazioni anche presso un proprio idoneo recapito telematico”. L’attuale art. 161 c.p.p. prevede quanto segue: “il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con l’intervento della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato non detenuto né internato, lo invitano a dichiarare uno dei luoghi indicati nell’articolo 157 comma 1 ovvero a eleggere domicilio per le notificazioni”. La nuova disciplina della notificazione all’imputato, una volta a regime, consentirebbe di superare la normativa attuale sulle notificazioni, che distingue nettamente tra notifiche all’imputato e quelle effettuate nei confronti dei soggetti diversi dall’imputato. Solo per questi ultimi, infatti, sono ammesse le notificazioni telematiche. L’art. 16 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 è, in attesa dell’esercizio delle delega in commento, il principale riferimento normativo per le comunicazioni e notificazioni in via telematica nel processo penale[6]. Esulando dallo scopo di questo scritto una completa e puntuale analisi dell’evoluzione e del funzionamento del sistema di notificazione tramite PEC, si rinvia ai contributi che trattano approfonditamente la questione[7] L’art. 16 del citato D.L. ha disposto, al comma 4, che nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale”. Il D.L. n. 179 del 2012, pertanto, esclude l’imputato dal novero dei soggetti ai quali è possibile notificare un atto procedimentale mediante notificazione telematica. Tale esclusione, a norma dell’art. 61 c.p.p., riguarda anche l’indagato, dal momento che al soggetto sottoposto alle indagini preliminari si estendono i diritti e le garanzie previsti in capo all’imputato. 4) Gli elementi di criticità della nuova normativa sulle notificazioni all’imputato Richiamati tali indici normativi, occorre ritornare sull’analisi delle norme appena entrate in vigore. In questa sede, sembra opportuno segnalare possibili esiti interpretativi enucleabili dalla lettura delle nuove disposizioni, suscettibili di tensioni tra l’esigenza di accelerazione del procedimento penale e il diritto ad una difesa effettiva dell’imputato. Dalla lettura dell’art. 1, c. 6, lett. a) può desumersi quanto segue:
Indugiando sul punto b), secondo una prima lettura della norma, sembra potersi aderire alla seguente interpretazione: in caso di mancata elezione del domicilio presso un proprio recapito telematico (ovvero, in assenza dell’esercizio della facoltà prevista in capo all’indagato) è preclusa ai soggetti di cui all’art. 161 c.p.p. (il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria) la notificazione presso il domicilio telematico dell’imputato, poiché solo quest’ultimo, tramite esercizio della facoltà riconosciutagli dall’ordinamento, può consentire che le notifiche possano avvenire presso i propri recapiti digitali. Questa interpretazione, tuttavia, non è l’unica possibile. In base al criterio ermeneutico letterale, sistematico e teleologico, sembra possibile individuare una diversa opzione ricostruttiva, in base alla quale i soggetti ex art. 161 c.p.p., una volta ottenuti dall’imputato i propri indirizzi telematici, possano comunque procedere alla notificazione presso tali indirizzi, anche in assenza di un’espressa dichiarazione da parte dell’indagato. Sul piano letterale, potrebbe affermarsi che il termine facoltà non indichi un’assoluta signoria in capo all’indagato, il quale, senza un proprio assenso, possa per ciò solo impedire che siano effettuate notificazioni ai propri recapiti telematici. A sostegno di tale interpretazione si pone l’argomento sistematico. L’attuale art. 157 c.p.p. individua le modalità con le quali possa essere effettuata la prima notificazione. In base al comma 1, qualora non fosse possibile la consegna diretta della copia dell’atto nelle mani dell’indagato, la notificazione è eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui l’imputato esercita abitualmente l’attività lavorativa, mediante consegna a una persona che conviva anche temporaneamente o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. L’art. 157, dunque, pone un vincolo in capo ai soggetti che procedono alla notifica; questi, in assenza di espressa dichiarazione o elezione di domicilio ex art. 161, devono preferire talune modalità di notificazione ad altre, le quali assumono valore residuale. Appare allora chiaro che col riferimento alla facoltà di cui all’art. 1, c. 6, lett. a) si faccia riferimento alla facoltà di scelta che già a normativa vigente il codice di procedura riconosce in capo all’indagato. Quest’ultimo, sulla scorta dell’art. 161 c.p.p., può infatti dichiarare o eleggere domicilio presso uno dei luoghi di cui all’art. 157. Da tanto si ricava che, omesso l’esercizio della facoltà ex art. 161, per la scelta del luogo e delle modalità di notificazione soccorra l’elenco di cui all’art. 157. A questo punto occorre però domandarsi se il nuovo domicilio digitale sarà equiparato alla notifica nelle mani proprie, che assume rilievo primario in assenza di dichiarazione di domicilio, oppure se verrà ricompreso tra le ipotesi sussidiarie di notificazione che seguono all’impossibilità di effettuare la notificazione nelle mani dell’indagato. Alla luce dell’analisi sistematica, dunque, la dichiarazione facoltativa va intesa come meramente selettiva di una peculiare modalità tra altre possibili alternative, come già avviene per le dichiarazioni di domicilio ex artt. 157 e 161. In tale prospettiva, il mancato esercizio della facoltà di scelta non precluderebbe agli inquirenti la possibilità di effettuare la notificazione presso il domicilio digitale dell’indagato. L’interpretazione qui patrocinata, del resto, si pone in rapporto di correlazione col principio dell’effetto interpretativo utile e del criterio teleologico: ratio complessiva dell’intervento è quello di razionalizzare e velocizzare il procedimento penale. Prevedere un meccanismo che sfrutti le potenzialità dei sistemi informatici è coerente con tale ratio, mentre non lo sarebbe quella interpretazione restrittiva che non equipari pienamente il domicilio telematico a quelli tradizionali. 5) Un altro aspetto problematico: il nuovo procedimento in assenza dell’imputato La possibilità di effettuare le notificazioni al nuovo domicilio digitale solleva un altro aspetto problematico in relazione alle modifiche sulla partecipazione dell’imputato al proprio procedimento. A tal proposito, l’art. 1, c. 7, prevede che: a) siano ridefiniti i casi in cui l’imputato si debba ritenere presente o assente nel processo, prevedendo che il processo possa svolgersi in assenza dell’imputato solo quando esistono elementi idonei a dare certezza del fatto che egli è a conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una sua scelta volontaria e consapevole; b) l’imputato sia tempestivamente citato per il processo a mani proprie o con altre modalità comunque idonee a garantire che lo stesso venga a conoscenza della data e del luogo del processo e del fatto che la decisione potrà essere presa anche in sua assenza; c) quando non si abbia certezza dell’effettiva conoscenza della citazione a giudizio o della rinuncia dell’imputato a comparire, si possa comunque procedere in assenza dell’imputato quando il giudice, valutate le modalità di notificazione e ogni altra circostanza del caso concreto, ritenga provato che l’imputato abbia conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza sia dovuta a una scelta volontaria e consapevole. Scendendo sul piano delle concretezze, si faccia la seguente ipotesi: 1) l’indagato comunica i propri recapiti telematici ma non esercita la facoltà di cui all’art. 161; 2) viene effettuata la notificazione presso i recapiti telematici dell’indagato; 3) sussiste il dubbio sull’effettiva consapevolezza in capo all’indagato dello svolgimento di un procedimento nei suoi confronti. Occorre allora chiedersi, in un caso del genere, se l’art. 1, c. 7, lett. c) possa consentire al giudice di ritenere provata, per la particolare modalità della notificazione presso il domicilio digitale, la conoscenza del procedimento da parte dell’indagato. Si faccia il seguente caso: la notificazione è avvenuta presso un recapito telematico che si dimostra sia stato utilizzato dall’indagato anche successivamente alla notifica. L’utilizzo successivo del dispositivo digitale o dell’indirizzo telematico può rappresentare un indizio che, ai sensi e alle condizioni di cui all’art. 192, c. 2, c.p.p., consente di poter desumere l’esistenza di un fatto principale (la conoscenza del procedimento)? Può essere considerato indizio grave, preciso e concordante l’utilizzo, medio tempore, del device da parte dell’imputato? 6) Conclusioni Si staglia, dunque, all’orizzonte la possibilità che l’impiego ormai diffuso e capillare degli strumenti di comunicazione digitale da parte dei singoli, attraverso una presunzione difficilmente superabile (salva la prova di non aver utilizzato o potuto utilizzare i propri device), rappresenti un indizio, una prova indiretta che possa consentire di ritenere accertata la conoscenza del procedimento da parte dell’indagato. Resta certamente salva la possibilità per l’indagato di dimostrare l’effettiva mancata consapevolezza del procedimento, con regressione del procedimento e rinnovazione della notificazione. Ciò, però, potrebbe rappresentare un vulnus agli intenti deflattivi della riforma. L’indagine qui proposta ha avuto, in conclusione, l’obiettivo di individuare possibili esiti interpretativi che derivano da un’interpretazione testuale, sistematica e teleologica della nuova riforma. Lo scopo della velocizzazione sembra, nella lettura qui proposta, porsi in parziale contrasto col principio della difesa effettiva e della consapevole partecipazione al proprio procedimento. Peraltro, la stessa modalità prescelta per procedere alla riforma del procedimento penale, attraverso un ampio ricorso alla delegazione normativa, presenta palesi criticità proprio in relazione all’ambito del fondamentale diritto di partecipazione consapevole al procedimento penale in corso. A ciò si sarebbe potuto ovviare attraverso una più precisa specificazione dei criteri direttivi. L’auspicio è che, in sede di esercizio della delega, il legislatore delegato individui tecniche normative idonee a bilanciare due interessi parimenti rilevanti: da un lato quello della celerità del procedimento, dall’altro quello del diritto ad una difesa effettiva e consapevole. [1] Per la consultazione dei dati, si rinvia al seguente link: https://www.echr.coe.int/Documents/Stats_violation_1959_2020_ENG.pdf. [2] Intervento di apertura del Ministro della Giustizia, Prof.ssa Marta Cartabia, all’incontro con i capigruppo della Commissione Giustizia della Camera, svoltosi al Ministero della Giustizia, nella Sala Livatino, il 10 maggio 2021 [3] Gian Luigi Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della legge Cartabia, in Sistema Penale. [4] Servizio Studi di Camera e Senato, Dossier A.C. 2435, 31 Luglio 2021. [5] Per una panoramica complessiva sugli interventi di riforma, si veda Gian Luigi Gatta, ibidem. [6] V. Bove, Notificazioni telematiche nel procedimento penale questioni giuridiche e problematiche applicative, in www.penalecontemporaneo.it, 9.11.2015 [7] Si veda, tra gli altri, la Circolare ministeriale 11.12.2014 a firma congiunta del Direttore Generale della Giustizia Penale e del Direttore Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati; L. Petrucci, Il tormentato avvio delle notifiche telematiche nel processo penale, in www.questionegiustizia.it. |
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