Contributo di Massimo Biffa, in www.ilpenalista.it
Oggi la disciplina della prescrizione del reato ha tre differenti scansioni temporali: quella della legge Cirielli, quella della riforma Orlando e, dal 1 gennaio 2020, quella della l. n. 3 del 2019, tutte legate al diverso momento in cui il reato è stato commesso. A distanza di nemmeno un anno dalle modifiche introdotte dal governo precedente (L. 103/2017) in relazione alla sospensione dei termini, per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, nei casi di condanna in primo grado e in appello, si paventa ora una riforma della prescrizione, stavolta di sistema, in grado di uniformare una disciplina che, anche per ragioni di successione di leggi nel tempo operanti con aumenti o persino raddoppiamenti dei relativi termini (si pensi, a mero titolo esemplificativo, alle diverse modifiche dell'art. 157 comma 6 c.p. come all'intervento del DL 138/2011 in materia di delitti tributari), appare oggi del tutto disomogenea. Nella G.U. n. 13 del 16.01.2019 è stata infatti pubblicata la legge 9 gennaio 2019, n. 3, recante “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”, che contiene anche la riforma della prescrizione del reato. È la c.d. legge spazza-corrotti che, come è noto, nel corso dei lavori parlamentari, per effetto di un emendamento presentato dai relatori di maggioranza (del Movimento Cinque Stelle), è diventata anche, almeno nelle intenzioni, una legge spazza-prescrizione, destinata ad avere effetti significativi, per quanto limitati a una parte soltanto (circa un quarto) del complessivo numero dei procedimenti che, annualmente, vengono definiti con la declaratoria di prescrizione del reato. La riforma della disciplina della prescrizione del reato è contenuta nell'art. 1, lett. d), e), f) della l. n. 3/2019, disposizioni queste che, in base all'art. 1, co. 2 della legge stessa, sono entrate in vigore il 1° gennaio 2020 (la riforma della corruzione, invece, è entrata in vigore il 31 gennaio 2019, dopo il periodo di vacatio legis). Come noto, quindi, la riforma è stata differita di un anno. Fino a quella data ha continuato a trovare applicazione la disciplina prima vigente, come risultante dalla c.d. riforma Orlando, realizzata solo un paio di anni fà con la l. 23 giugno 2017, n. 103 e cancellata quindi da un tratto di penna del nuovo legislatore. Come a tutti noto, la nuova riforma interessa gli artt. 158, 159 e 160 del codice penale: non modifica l'assetto complessivo della disciplina dell'istituto, che rimane quello introdotto nel 2005 con la legge ex Cirielli, ma riguarda solo il profilo – peraltro centrale – del decorso del termine di prescrizione del reato, oggetto di modifiche tanto sul lato del dies a quo quanto, e soprattutto, su quello del dies ad quem. La legge n. 3 del 2019, a decorrere dal 1° gennaio 2020, presenta una soluzione ben più radicale: il blocco del corso della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado (o il decreto di condanna), indipendentemente dall'esito, di condanna o di assoluzione. È proprio questa, in sintesi e nell'essenza, la novità con la quale i penalisti sono chiamati a confrontarsi: una prescrizione del reato che non potrà più maturare in appello o in cassazione. Con la riforma della prescrizione, quindi, fine processo: mai. Dal 1°gennaio 2020 la prescrizione si ferma dopo la sentenza di primo grado: salta l'estinzione per eccesso di durata in appello e in Cassazione. Per effetto della Legge Spazzacorrotti sono 30mila all'anno i processi penali che, con l'entrata in vigore il 1° gennaio 2020 della riforma della prescrizione, non avranno più scadenza. Si tratta di una disposizione criticata da più parti perché potrebbe portare a processi infiniti. Figlio di un compromesso tra Lega e M5S, il blocco della prescrizione cancella la riforma varata due anni fà dall'allora ministro Pd della Giustizia, Andrea Orlando. Ma ora a valutare se e come modificarlo, accanto al grillino Alfonso Bonafede, confermato Guardasigilli anche nel Governo Conte bis, sarà lo stesso Orlando. I numeri. Secondo i dati forniti dal ministero della Giustizia, nel 2018 i procedimenti penali prescritti in Corte d'appello e Cassazione (per cui opererebbe il blocco) sono stati 29.862. Nel complesso le prescrizioni sono in calo: dal 2016 al 2018 sono scese da 136.888 a 117.367 (-14%). Ma non in Corte d'appello dove, invece, sono aumentate del 12% e mandano in fumo un procedimento su quattro, il 25% dei definiti. A determinare la diminuzione totale è la flessione dei procedimenti azzerati durante le indagini preliminari (passati da 72.840 a 48.735), che rimane comunque la fase in cui si concentra il maggior numero di prescrizioni (circa il 41% ). In totale, il 75% delle prescrizioni matura nel primo grado di giudizio: non verrà quindi toccato dalla riforma. Il blocco della prescrizione dopo il primo grado non avrà conseguenze omogenee sul territorio nazionale perché la percentuale di archiviazioni per prescrizione cambia fortemente da una Corte d'appello all'altra. A Venezia e Torino l'estinzione del processo riguarda infatti più del 40% dei procedimenti definiti. In difficoltà anche Catania, con il 37,8%, Perugia e Roma con il 36 per cento. All'opposto le Corti d'appello di Milano, Lecce, Palermo, Trieste, Caltanissetta e Trento, dove il numero di prescrizioni non arriva al 10 per cento. Gli effetti Lo stop della prescrizione dopo il primo grado potrebbe mettere a rischio l'efficienza degli uffici giudiziari perché li graverà di circa 30mila procedimenti in più ogni anno, con esiti più pesanti sulle Corti dove la percentuale di prescrizioni è maggiore. È concreta la possibilità che si allunghino i tempi dei processi, che in appello in media già durano due anni e tre mesi. «Il blocco della prescrizione - dice Eugenio Albamonte, ex presidente dell'Anm e segretario di Area - permette di salvare il lavoro fatto in primo grado. Ma senza misure per accelerare la giustizia, si rischia di arrivare a processi di appello molto lunghi. La riforma Bonafede non basta. Occorre aumentare le risorse, depenalizzare i reati che possono essere perseguiti altrimenti e rafforzare i riti alternativi». Noi avvocati penalisti, da sempre contrari alla riforma, stiamo portando avanti la nostra battaglia e stiamo cercando do farci sentire con tutte le forze di cui siamo capaci. In tema di effetti sul processo penale si può sicuramente affermare che la nuova prescrizione è la morte annunciata del processo accusatorio. I termini della prescrizione che un tempo riguardavano l'intero procedimento, ora sono riferibili al solo giudizio di primo grado. Un esempio: un processo per il reato di bancarotta aggravata, in primo grado, potrà durare 22 anni e 6 mesi prima che intervenga la prescrizione. La conseguenza sarà che i testimoni potranno essere ascoltati in epoche assai lontane dai fatti: come potrà formarsi la prova nel contraddittorio dibattimentale? Il processo diventerà sempre più un processo scritto, con le letture al dibattimento. Gli atti, e quindi le prove, saranno confezionati dal P.M., nel corso delle indagini preliminari. È prevedibile anche che il blocco della prescrizione dopo il primo grado comporterà una dilatazione dei processi nei successivi gradi di giudizio. I processi potranno durare all'infinito: fine processo, mai! Dopo la sentenza del Tribunale si avrà una forma di oblio: del processo si perderanno le tracce, e con il processo, anche della presunzione di innocenza. La sentenza di primo grado assumerà, di fatto, il carattere della definitività. Per quanto riguarda la razionalità della pena, anzitutto è evidente che non potrà più avere una finalità retributiva. La esecuzione sarà molto lontana dal fatto, l'autore del reato muterà la sua identità morale, il suo stato sociale, la sua personalità. Sarà privo di significato l'art. 133 c.p., e cioè, la commisurazione della sanzione alla individualità del reo, che sarà punito per ciò che era, e non per ciò che è. Ancora più evidente è il venir meno della finalità rieducativa della pena: i percorsi della vita cambiano gli uomini, li rendono migliori o peggiori, ma sicuramente diversi da quel che erano il giorno della commissione del reato. La rieducazione è un trattamento che ha un senso solo se parte dallo stato del reo al momento del fatto o poco oltre. Se la pena è priva di scopi, l'intero sistema penale è privo di razionalità, perde la sua ragion d'essere e, con lui, anche i suoi protagonisti, giudici, pubblici ministeri, avvocati. La riforma dell'istituto della prescrizione con “blocco” della decorrenza dopo la sentenza di primo grado presenta molteplici profili di illegittimità costituzionale, rivelandosi irragionevole sia rispetto ai valori che rispetto agli scopi. Non produrrà, verosimilmente, tempi processuali più ragionevoli, ma getterà i soggetti sottoposti a procedimento penale in una assurda condizione esistenziale di “eterni giudicabili”. |
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Giugno 2024
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